CORONAVIRUS – LA SITUAZIONE ATTUALE E LE PROSPETTIVE FUTURE

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CORONAVIRUS – LA SITUAZIONE ATTUALE E LE PROSPETTIVE FUTURE

Buongiorno a tutti,

Eccoci all’aggiornamento settimanale.

È ormai opinione diffusa che siamo sul picco, o che l’abbiamo appena superato. I dati sono lievemente incoraggianti per la prima volta dall’inizio di questa epidemia. I casi stanno calando, anche se sta aumentando il numero di tamponi effettuati, e questo è ulteriormente incoraggiante. Non sappiamo ovviamente come sarà la fase di decrescita, ma intanto possiamo osservare che la crescita dell’epidemia è lineare e non più esponenziale. Questo significa che R0, il fattore di contagiosità, sta scendendo, almeno in Italia. 

Anche il numero di morti è in diminuzione rispetto a ieri, e speriamo che cali ulteriormente quanto prima. I guariti stanno aumentando, e questa è la notizia migliore di tutte.

Al contrario dell’Italia, vediamo come le curve nel mondo siano esponenziali.

Hanno semplicemente una diversa latenza tra i vari stati. 

Venerdì scorso (ovvero 6 giorni fa), mentre scrivevo, c’erano poco più di 500.000 casi diagnosticati nel mondo, e adesso nel momento in cui scrivo hanno appena superato il milione. Vuol dire che c’è stato un raddoppio mondiale. Questo ci fa capire che questa pandemia non sarà breve, e che i grandi eventi e i viaggi internazionali rimarranno fermi ancora per un po’. Per questo ho molto apprezzato il rinvio delle Olimpiadi; non poteva essere altrimenti. Potremo godercele l’anno prossimo in tutta la loro bellezza e intensità, si spera. 

Tornando all’Italia, rimane da capire quanti siano in realtà i veri contagiati, perché ancora mancano i dati certi.

Uno studio dell’imperial college di Londra dice che potrebbero esserci 10 milioni di casi positivi, solo in Italia (fonti in fondo al post, come sempre). 

Un’altra stima pubblicata sul JAMA, che prende in considerazione la mortalità cinese (peraltro con tutti i dubbi del caso, pare che i casi nello Hubei siano stati circa un milione, e i morti più di 40.000), parla di un 65% di casi non riconosciuti. Ovvero 2 casi su 3 secondo questo studio non sarebbero diagnosticati. 

Un’altra stima (secondo me la migliore) afferma che i casi reali in Italia sono 5-10 volte quelli conosciuti. Questi rapporti sono pieni di ipotesi, di modelli, di assunzioni anche teoriche, perché come scrivevo non c’è al momento questo fondamentale denominatore: ovvero il numero totale degli infetti, compresi quelli asintomatici o lievi.

I problemi sono sempre gli stessi due: ogni paese ha linee guida interne, e le linee guida nazionali cambiano da territorio a territorio anche più volte durante l’epidemia; inoltre c’è questo sovraccarico sistemico per cui solo pochissime regioni o paesi (penso al Veneto, alla Corea del Sud o al Giappone), sono riusciti a fare test a tappeto. 

Più che stime, sarebbe opportuno avere i dati certi, e tra poco proporrò come fare per questo. 

Infatti, è un po’ difficile basarsi su dati che non esistono e sviluppare strategie concrete per il post-lockdown.

Tra uno o due mesi al massimo torneremo a poter uscire di casa, seppur in modo graduale. La progressività nel prendere le misure nella fase iniziale, debba esserci anche in senso opposto, ovvero nel ritorno alla normalità. Quindi inizialmente saranno consentite uscite individuali, poi l’apertura di alcune attività commerciali meno a rischio, e infine le attività di gruppo, i luoghi di ritrovo e gli eventi. Credo che anche le scuole riapriranno gradualmente. Per gli eventi, gli sport soprattutto di squadra e il turismo in questo momento vedo l’incertezza maggiore. 

Il problema però è: come controllare la parte epidemiologica, ovvero la diffusione del virus, se non abbiamo dati certi? 

Capite che tra 100 mila e 10 milioni di casi ci sono 100 ordini di grandezza.

Sarebbe come progettare il serbatoio di un aereo per andare da Milano a New York sapendo che c’è una distanza da coprire compresa tra i 5 mila e i 500 mila km. È impossibile. 

Fortunatamente, pare che ci sia un mezzo utile a questo scopo: l’indagine sierologica. Sono stati sviluppati kit rapidi che grazie a una goccia di sangue (funziona come la misurazione della glicemia, per intenderci) misurano gli anticorpi presenti nell’organismo. 

Ovvero, vengono misurate queste due categorie di anticorpi specifici per il coronavirus: le IgM (Immunoglobuline M), che si attivano durante l’infezione e sono tra i primi fattori di protezione; e le IgG, che si attivano qualche settimana dopo, quando l’infezione è finita, e infatti vengono chiamate “della memoria”. Servono perché l’organismo sia premunito nei confronti di un nuovo possibile contatto col virus o comunque col patogeno coinvolto. È come avere già uno “stampo” pronto e doverlo solo replicare, senza doverlo forgiare nuovamente. Questi due tipi di anticorpi si attivano e vengono prodotti in ogni tipo di infezione; per questo ho precisato che in questo caso servono quelli specifici per il coronavirus. 

Quindi, se l’infezione è in corso, il test darà positività per le IgM; se l’infezione è passata, ci sarà positività per le IgG.

In qualunque valutazione di efficacia di un test diagnostico, che sia ematico, o che usi la diagnostica per immagini o altri mezzi, si utilizzano due parametri: la sensibilità e la specificità.

La sensibilità è la capacità di diagnosticare i veri positivi. Quindi se un test ha sensibilità del 90%, significa che su 10 pazienti che hanno un problema, ne vengono diagnosticati 9. Il decimo viene detto falso negativo. Cioè sembra negativo, ma in realtà ha il problema. 

In questo caso, la sensibilità per le IgM (quindi la capacità diagnostica per l’infezione in corso) è dell’85%. Non il massimo, in realtà. Quindi per la diagnosi del problema in corso non è il top. 

La sensibilità per le IgG, invece, è del 100%. Il test riuscirà quindi a individuare tutti quelli che hanno già passato l’infezione. Considerate che quando ho studiato queste cose medicina (erano tra il secondo e il terzo anno di corso, ovvero 14 anni fa circa), il 100% non veniva ritenuto un valore possibile. 

C’è poi un altro valore: la specificità. La specificità è la capacità di individuare i veri negativi. Ovvero, su 10 sani, la specificità del 90% vorrà dire che 9 risultano sani, e uno risulta malato. Questo viene chiamato falso positivo. Ovvero, sembra che abbia il problema ma è sano. 

In questo caso, la specificità per le IgM è del 96%, buona, e la specificità per le IgG è del 98%, ancora meglio.

IN PRATICA: questo pare essere un ottimo test per capire chi ha contratto e già esaurito l’infezione. Ovvero, un ottimo mezzo per trovare questo fantomatico e così importante denominatore. 

A questo punto, se fossi nell’OMS, per tentare di recuperare il tempo perduto, farei eseguire il test a tappeto su tutta la popolazione dei paesi dove la curva dei contagi è già ampiamente in fase discendente. 

Vediamo ora come inserire questa possibilità diagnostica e di monitoraggio all’interno di una proposta più organica e articolata che voglio fare in questo articolo. È una proposta pensata per essere valida con tutti gli scenari possibili, dal più ottimista al peggiore di tutti (che è quello di un secondo picco autunnale più devastante di questo).

Il modello che vorrei venisse implementato passa dall’essere ospedale-centrico a territorio-centrico. Questo credo sia l’unico modo per governare future ondate, e in generale per migliorare il nostro Sistema Sanitario.

Il modello riguarda due livelli: il livello medico e quello di organizzazione sanitaria.

Primo livello: clinico/medico. 

Innanzitutto, perché mi pongo il problema? Perché, come altri, ho capito che molto probabilmente ci saranno altre ondate epidemiche. I contagi sono troppo esponenziali per essere così ottimisti. Una città di Hong Kong, ad esempio, sta affrontando una seconda quarantena. Quindi, qual è l’obiettivo? Contenere ancora di più queste ondate, spalmandole nel tempo, e potendo curare in modo ottimale tutti quelli che ne hanno bisogno, senza dover interrompere tutte le attività di un paese. Questo si può evincere dalla figura del post. Come si può fare? Veniamo al primo principio:

1) Capillarità: finora è stata attuata una quarantena massiva. Anche quando c’è stato l’inizio della risposta politica, la gradualità ha riguardato interi sistemi. Ad esempio, sono state coinvolte prima tutte le scuole, poi tutti gli eventi pubblici, poi tutti i luoghi di lavoro affollati, e così via, fino alla quarantena totale. 

Se vorremo controllare la pandemia, che potrebbe durare 2-3 anni, a mio parere non dovremo procedere in questo modo se non strettamente necessario. La cosa migliore, infatti, è o proteggere intere classi di persone, come ad esempio gli over 65, gli immunodepressi, alcune categorie a rischio, oppure contenere i contagi in modo capillare, isolando piccoli gruppi di persone ogni volta. 

Cosa significa questo? Isolare i singoli pazienti positivi ed eventualmente la loro rete di contatti. 

Come si fa?

. Diagnostica: i tamponi vanno fatti in modo capillare, anche a chi ha pochissimi sintomi, e ai suoi contatti. Inoltre, andrebbe migliorata la tipologia di test. Infatti si è visto che i tamponi sono “operatore-dipendenti”. Ovvero, l’operatore deve farli esattamente nel luogo giusto, deve avere conoscenze e competenze sull’anatomia del cavo orale e delle prime vie respiratorie. Inoltre richiedono la PCR, una metodica inventata dal grande e geniale Kary Mullis nel 1991, quindi ormai ampiamente consolidata e utilizzata (per questa invenzione ha vinto il Nobel per la chimica nel 1993), ma che richiede biologi e macchinari per essere espletata. Inoltre, sulla sensibilità del tampone ci sono ampi dubbi, soprattutto quando la persona ha già la polmonite, perché il virus potrebbe trovarsi non nel cavo orale, ma più profondamente nelle vie respiratorie inferiori. Quindi, il mio auspicio è che vengano sviluppati test più semplici e performanti degli attuali tamponi. È stato appena prodotto un test diagnostico rapido che sostituisce gli attuali tamponi (la fonte è sempre in fondo all’articolo), e che dovrebbe iniziare la sua sperimentazione all’interno di ospedali e rianimazioni. 

Ovviamente, i test vanno anche ripetuti nel tempo. Ad esempio, se una persona ad oggi non ha mai contratto il virus, in linea teorica potrebbe infettarsi tra un mese. Quindi le misure diagnostiche dovranno essere continue. 

. Monitoraggio: la tecnica iniziale delle asl è stata “aspetta e spera”; solo recentemente sono state implementate in alcune città le cosiddette USCA, ovvero le unità mobili dedicate alla gestione domiciliare dei pazienti in isolamento con medici ingaggiati per visitare e gestire i pazienti sul territorio. Medici che ovviamente devono avere i corretti dispositivi di prevenzione individuale (gli ormai celeberrimi DPI) e che integrano l’attività dei medici di base, che devono rimanere sani e a disposizione di tutti gli altri pazienti. Questo permette di integrare sul territorio la giusta gestione e cura dei pazienti con e senza coronavirus. Per attuare il monitoraggio al meglio, è opportuno dotare ogni paziente di saturimetro, dello strumento per misurare la pressione arteriosa, ovviamente di un termometro e di un collegamento diretto col medico. Ovvero, può essere sviluppata maggiormente la telemedicina, la medicina a distanza. 

Individuazione della rete sociale e degli ultimi contatti della persona. Da questo punto di vista, esiste una app che consente di tracciare i contatti più o meno prossimi avuti nelle diverse giornate; è già stata utilizzata in Cina e il progetto di ricerca è guidato dall’italiano Luca Ferretti all’Università di Oxford. Ovviamente si aprono questioni in merito alla privacy, quindi l’eventuale implementazione della app a livello nazionale è da valutare secondo i rapporti tra rischi e benefici. Anche in questo caso trovate la fonte qui sotto. 

2) Consequenzialità: questo è il secondo principio di intervento medico. La malattia è piuttosto lunga e attraversa diverse fasi. È opportuno quindi che il paziente venga monitorato non solo nella prima fase, ma anche dopo la dimissione. Si può fare sempre con la telemedicina, con l’isolamento post-ricovero. Da questo punto di vista c’hanno già pensato. In alcune città sono nati come dei ricoveri per le persone dimesse dall’ospedale, che così hanno l’opportunità di avere ancora assistenza sanitaria, protezione per il loro sistema immunitario, e protezione dei famigliari. Attuare un isolamento domiciliare in un contesto famigliare è molto complesso. 

Perciò è cruciale lasciare alla persona tutto il tempo per guarire completamente prima di reinserirsi nel suo contesto sociale. Ovviamente questo previene le cosiddette “reinfezioni”, che in realtà ipotizziamo in molti essere nient’altro che pazienti non completamente guariti. Inoltre, il virus rimane presente nel corpo per 7-8 giorni dalla guarigione. Quindi è ancora più importante che la quarantena post-guarigione sia più lunga. I dati attualmente dicono 14 giorni, ma allungare a 21 sembra essere un’ipotesi sempre più accreditata. Andrebbero quindi istituiti in ogni città dei luoghi in cui attuare questa quarantena post-ricovero.

3) Di conseguenza: prudenza. Investire più risorse e più tempo sul singolo malato consente di evitare altri contagi potenziali.

4) Sierologia: questo è ciò che scrivevo prima. Se facessimo a tappeto i test sierologici per capire chi ha già gli anticorpi e quindi ha già contratto l’infezione, potremmo anche monitorare la situazione nel tempo. Cioè questo può essere fatto non solo per capire la situazione passata, ma per monitorare strettamente le ondate future. Potremo anche capire se l’immunità per questo virus rimane efficace nel tempo. Questo è un dato fondamentale che ancora manca, dato che il virus è nuovo. 

Bene, questa era la parte più medica diciamo, anche più territoriale. 

Secondo livello: organizzazione del sistema sanitario. 

In realtà alcuni punti sono già stati toccati, nel senso che la dimensione clinica e quella di organizzazione sanitaria si intrecciano. 

Il sistema sanitario è organizzato in questo caso in 4 step:

1) Il territorio. Di fatto ne ho già parlato. Vanno istituite e potenziate le USCA, vanno forniti i corretti DPI ai medici, va integrato il servizio “ordinario” con quello ad hoc per il coronavirus. Questo sia nella fase diagnostica, che di trattamento domiciliare (ad esempio con maggiore reperibilità dell’ossigeno e dei farmaci), che di monitoraggio in fase di remissione. Inserisco a questo livello la burocrazia. Da medico, dico anche che è assolutamente fondamentale de-burocratizzare ogni percorso possibile. Non aggiungere burocrazia, ma toglierla. 

2) Il trasporto: anche i servizi di ambulanze che trasportano i malati in ospedale sono sotto pressione. Servono ambulanze apposite, anche qui il personale dev’essere protetto, i tragitti verso gli ospedali sono ovviamente già ottimizzati. La mia proposta a questo livello è di potenziare il 112 e i mezzi di trasporto per ottemperare non solo alle richieste al coronavirus, ma anche giustamente tutte le altre. Questo consente di curare in modo tempestivo anche tutte le altre urgenze. 

3) L’ospedale: qui ci sono diversi reparti coinvolti. In particolare le malattie infettive, la pneumologia, la medicina interna, la cardiologia e infine la rianimazione. In queste settimane hanno dovuto quadruplicare, quintuplicare i posti letto di questi reparti, hanno dovuto dedicare interi piani ai pazienti Covid-positivi, e sono anche stati costruiti ospedali da campo. Per non parlare degli sforzi incredibili nell’ampliare le rianimazioni, anche qui con un fattore moltiplicativo di posti letto e personale. A questo livello, la mia proposta è che alcuni reparti (ricavati magari da zone dismesse o appena inaugurate degli ospedali) rimangano aperti e pronti; che il personale extra coinvolto in questo periodo rientri in liste di esperti pronti a tornare in gioco; che i macchinari extra acquistati rimangano a disposizione. In pratica, è come mantenere un serbatoio di riserva. 

È l’equivalente sanitario delle nostre IgG. 

A questo punto, tengo anche a dire che il serbatoio non è solo nel numero delle risorse, ma anche nella loro qualità. Dal mio punto di vista, è cruciale nei prossimi mesi prendersi cura degli aspetti fisici e psicologici del personale sanitario che ha dovuto fronteggiare questo tsunami. Sarebbe veramente opportuno impedire a degli avvocati di fare sciacallaggio incentivando cause contro i medici che non hanno nessuna responsabilità rispetto alla carenza di posti letto o di altre risorse, che hanno fatto tantissimi straordinari non pagati, come gli infermieri e il resto del personale, che hanno dovuto lavorare in condizioni di estremo stress e sovraccarico fisico, mentale, cognitivo. Per questo sarebbe corretto da un lato premiare e gratificare professionalmente tutto il personale sanitario; dall’altro consentire tranquillità evitando cause inutili e controproducenti contro; e infine, ma veramente fondamentale, fare in modo che ci sia tutto il supporto psicologico necessario per elaborare e smaltire ciò che i professionisti stanno vivendo in questo momento. 

4) La fase di guarigione. Anche in questo caso ne ho già parlato. È importante che il passaggio dall’ospedale al territorio sia il più fluido possibile, che il paziente abbia la possibilità di stare in contatto e di essere seguito sia dai medici ospedalieri che del territorio, stando in sicurezza e in quarantena. 

In tutto questo, devono esserci linee guida teoriche e pratiche uniformi in tutta Italia; è impensabile organizzare il sistema sanitario in modo efficace costruendo regole e sistemi diversi da regione a regione. Quindi, l’unità nazionale dev’essere sia ideale, come evocato dal nostro Presidente Mattarella, che fattuale e concreta. 

Queste sono le mie proposte per gestire una ripartenza fronteggiando future eventuali onde epidemiche, si spera sempre più piccole e innocue. I vantaggi sono evidenti: non solo per la salute delle persone, ma anche per l’economia. Se ripartisse qualcosa di questa potenza ad ottobre, infatti, non credo che l’economia mondiale possa avere qualche possibilità dovendo chiudere di nuovo tutto; inoltre sarebbe l’incertezza in quel caso a farla da padrona. 

Voglio invece sperare e auspicare la possibilità di una riorganizzazione del sistema sanitario e sociale in modo che questo grande shock sistemico sia accaduto una volta per tutte. 

Potremo così ripartire con fiducia, consapevolezza, responsabilità. Potremo essere uniti, solidi. E chissà che questa grande crisi non faccia nascere grandi risposte ed evoluzioni. 

Fonti: 

https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/sph/ide/gida-fellowships/Imperial-College-COVID19-Europe-estimates-and-NPI-impact-30-03-2020.pdf?fbclid=IwAR1uW6eX7OdobgWJvbR4ch4LeDptyXdU8rh1flVquiDfpY01lz9RdxusUQU

https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2762130

https://github.com/pcm-dpc/COVID-19/blob/master/dati-regioni/dpc-covid19-ita-regioni.csv?fbclid=IwAR1Vm25voWIjVO0jlQI-ncpFXwMKEnKxuCKBDPZGTWxbhl_cCA_41k1NuZw

https://www.worldometers.info/coronavirus/?fbclid=IwAR17CDtLk79zmKfp3963l3fCXFVh-shVRgglZ3dqkmmyd7Wwea4xBRQzcLU

https://www.microbiologiaitalia.it/virologia/i-nuovi-test-rapidi-per-il-coronavirus-come-funzionano/?fbclid=IwAR1i6cYR0alVmla2q–8r4jZ08RJGoXJue9zg5CoWh7UqO8fx9kJ9bRV_Vw

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22094080

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/27012512

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/32104917

https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2020/04/02/coronavirus-da-menarini-kit-per-test-rapidi-in-20-minuti_d0600468-2767-4ada-956d-f22abb148a6e.html?fbclid=IwAR1A2u45X2pS60-gyQ3Dl9koWfk4Rb5g6FkoLjAupxI9ejXrKVCzyinUj4A

https://science.sciencemag.org/content/early/2020/03/30/science.abb6936?fbclid=IwAR0DDZU0egx2v0hi6KglWJHxR3V2gSL4JK2SFfuUqHMTkX14I-0g0LvHRhQ

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