
30 Ago Come migliorare l’attività del cervello attraverso il corpo, prendendo spunto dall’albero
Chi non conosce la struttura di un albero?
Innanzitutto l’albero ha le radici, con cui si pianta nel terreno, si stabilizza e prende parte del nutrimento. Dalle radici emerge il tronco, da cui sorgono i rami. Da questi nascono moltissime foglie. Queste prendono luce, si muovono col vento, fanno scorrere al loro interno la linfa, e consentono agli uccellini di creare i nidi e di ripararsi. Le foglie aggiungono complessità e dimensioni frattaliche all’albero. Non ci verrebbe mai in mente di dire che le foglie sono completamente diverse dai rami o dal tronco, che “comandano” e “danno ordini” alle radici, le quali sono una semplice appendice… oppure che le foglie potrebbero sopravvivere in adeguati nutrienti anche senza rami, tronco e radici.
Ecco, ho utilizzato questa similitudine per parlare del nostro organismo. Possiamo immaginare infatti che le radici e il tronco siano la parte fisica, i rami quella emotiva e le foglie quella cognitiva. Ogni livello emerge dal precedente, ha funzioni un po’ diverse, amplia il dominio di linguaggio di sistema, consente risposte più precise e articolate, e un rapporto con l’ambiente più variegato e complesso.
Come per la pianta, non ha alcun senso dividere le foglie dalle radici, se non per descriverle meglio, perché le une sono strettamente correlate con le altre, e non potrebbero sopravvivere senza le altre componenti. Hanno una complementarietà totale. Quindi, riportando questi concetti al nostro organismo:
Le funzioni del nostro corpo e del nostro cervello sono collegate molto più di quanto crediamo, e in modo molto diverso da quanto crediamo.
Ma queste sono scoperte o ri-scoperte relativamente recenti.
Infatti, abbiamo assistito nei secoli scorsi alle scoperte sul controllo che il nostro cervello esegue sul corpo, e su come il corpo sia rappresentato dal cervello. Ne è nata una tendenza un po’ distorta di credere che noi siamo il nostro cervello, che il corpo è una mera appendice, che tutto accade nel cervello e, per l’ennesima volta, che corpo e cervello sono due entità separate. Purtroppo nella storia della filosofia che moltissimi imparano a scuola primeggiano i pensieri di due filosofi: Platone e Cartesio. L’ontologia di Platone prevede un mondo delle idee, il mondo “vero”, sede di tutto ciò che è. Per accedervi l’anima, schiava del corpo, deve liberarsi da esso, dal suo peso inutile.
Cartesio invece divide anima e corpo, e, pur riconoscendo la loro cooperazione in alcuni ambiti, sostiene che il corpo invia segnali all’anima che sono rozzi, erronei. Esiste il cogito, la capacità di autocoscienza, più ordinata del corpo che funziona come macchina. Se una parte della macchina si rompe, c’è la malattia. A differenza di un orologio rotto, però, questa non può essere “riparata”, perché l’errore di natura peggiora la situazione.
Quello che in realtà accade, è che corpo e cervello sono un unicum inseparabile.
Il cervello si è evoluto in modo importante molti milioni di anni dopo il corpo, per sostenerlo e per regolarne più finemente le funzioni.
Volete una prova? Eccola!
Degli 85-90 miliardi di neuroni corticali, solo il 15-20% si trova nella corteccia cerebrale, mentre l’80-85% risiede nella corteccia cerebellare. Il cervelletto è soprattutto coinvolto nell’apprendimento e nel controllo motorio. Il fatto che la maggioranza dei neuroni si trovino in questa regione, è una prova del fatto che il controllo del movimento, insieme all’integrazione di altri stimoli, sia il motivo per cui si è sviluppato inizialmente il cervello. Il resto del cervello è “abitato” da un 1% di neuroni.
Il corpo invia continuamente segnali al cervello. Entrambi si sono adattati a vicenda per armonizzare le loro funzioni. Anche il corpo è ricchissimo di neuroni, come ad esempio tutti quelli del tratto digerente. Si è scoperto che nell’intestino e nel cuore ci sono reti neuronali di decine di migliaia di neuroni. Sono capaci di percezione, modifica dei comportamenti, e trasformazione in seguito alle proprie esperienze. In pratica, corpo e cervello comunicano in modo costante in entrambe le direzioni. In questo articolo voglio focalizzarmi sulle segnalazioni ascendenti, cioè quelle che vanno dal corpo al cervello. Vediamo quindi come il corpo influenza l’attività del cervello.
Infatti questo è il primo grande concetto: il cervello emerge dal corpo, e in un certo senso è nel corpo. Di conseguenza, è dal corpo che emerge il pensiero, così come all’origine di ogni ragione si trova l’irrazionale.
E’ solo dopo la processazione di un’intuizione (che può avere sede nel sentire corporeo) attraverso la sua sedimentazione, ramificazione, elaborazione, che nascono l’ordine e la coerenza. Il corpo può modificare le immagini cerebrali e quindi il substrato dei pensieri. Penso ad esempio alla relazione tra stato mentale e postura. Se ci si motiva anche con la gestualità, ad esempio, come spiega Amy Cuddy nel libro “Il potere emotivo dei gesti“, alzando le braccia in alto o mettendosi impettiti, si modifica la percezione della situazione e si diventa più ottimisti e positivi. Questo avviene perché diminuiscono i livelli di cortisolo e aumentano quelli del testosterone.
Oppure, in uno stato di depressione e tristezza il corpo si richiude su se stesso, con cifosi e chiusura delle spalle. Queste modifiche posturali a loro volta influenzano il cervello.
Voglio ora farvi altri due esempi di come l’attività corporea influenza il cervello.
Il primo esempio è il miglioramento dell’attività cerebrale attraverso l’attività fisica.
Lavorando sul corpo possiamo migliorare le funzioni cerebrali. Sono ormai molti gli studi che hanno dimostrato che una regolare attività fisica aerobica ha moltissimi effetti cognitivi positivi. Infatti migliora la neuroplasticità, aumenta le dimensioni dell’ippocampo (fondamentale per la memoria, tra le altre funzioni), ritarda e migliora i sintomi di Alzheimer e Parkinson.
Ad esempio è stato condotto uno studio clinico durato 30 anni, in cui sono stati seguiti 2235 uomini tra i 45 e i 59 anni. Se gli uomini seguivano queste quattro abitudini: esercizio fisico aerobico, alimentazione sana, basso consumo di alcol ed evitamento del fumo, il rischio di declino cognitivo scendeva del 60%. L’attività fisica era il fattore più determinante.
Se queste prove non bastassero, ce ne sono altre che coinvolgono animali con caratteristiche simili al Parkinson: quando facevano attività fisica e vivevano in una realtà ricca di stimoli, aumentava la produzione di fattore neurotrofico derivato da linee cellulari gliali (GDNF) e fattore neurotrofico cerebrale (BDNF), che permettono la formazione di nuove sinapsi.
Il BDNF è una molecola centrale. Viene prodotto quando con l’esercizio fisico si attivano simultaneamente molti gruppi di neuroni. Ad esempio le aree corticali prefrontali determinano la decisione e predispongono il piano di attivazione; la corteccia motoria interviene direttamente nell’attivazione dei diversi gruppi muscolari; le zone sottocorticali come i gangli della base, il cervelletto e il mesencefalo sono determinanti per la coordinazione, l’equilibrio e la verifica degli schemi motori utilizzati. Il BDNF, facendo aumentare le connessioni tra i neuroni, permette che questi in futuro si attivino in modo sincrono e affidabile, e inoltre ne impedisce la degenerazione. Il BDNF è anche centrale nell’apprendimento.
Si verifica un circolo virtuoso, perché se si fa esercizio fisico e si apprende in modo costante, viene secreto BDNF, il quale a sua volta migliora l’apprendimento. Quindi più ci si muove, più si impara, e più per il cervello diventa facile imparare!
Il secondo esempio prende in considerazione il microbiota.
Il microbiota è l’insieme dei batteri che popolano tutte le nostre superfici al contatto con l’esterno, cioè pelle, bocca, organi sessuali, e soprattutto l’intestino. Con questa nuova conoscenza appare sempre più chiaro che il corpo è un ecosistema super-complesso che contiene migliaia di miliardi di batteri e altri microrganismi. Questo ecosistema di microorganismi è dinamico ed evolve in rapporto mutualistico col suo ospite.
Il microbiota viene passato dalla madre al bambino durante il parto. Poi si stabilisce nel primo anno di vita e si modifica durante tutta la durata della vita. Può essere trasmesso tra parenti, compagni o membri di una comunità chiusa. Sembra che la somiglianza delle comunità microbiche tra gli individui sia un indice della forza delle loro legami sociali.
Tra tutte le sottocomunità di micro-organismi, quella più fondamentale si trova nell’intestino. Dal mio punto di vista è la più importante. Non solo per il numero effettivamente più alto di batteri presenti, ma per le maggiori connessioni endocrine, immunitarie e nervose che l’intestino ha col resto del corpo, e in particolare col cervello. Qui il microbiota protegge il sistema dagli agenti patogeni, perché si crea una competizione tra i batteri cosiddetti commensali e quelli appunto patogeni. Inoltre metabolizza i lipidi complessi e i polisaccaridi che altrimenti sarebbero nutrienti inaccessibili; neutralizza farmaci e sostanze cancerogene; modula la motilità intestinale, e rende possibile la percezione viscerale.
Il microbiota intestinale può influenzare molti parametri fisiologici, comprese le funzioni cognitive come l’apprendimento, la memoria e i processi decisionali. In particolare, c’è un asse bidirezionale col cervello che comunica principalmente attraverso il nervo vago; questo è di vitale importanza sia nei processi fisiologici che patologici, soprattutto per quel che riguarda problemi metabolici e mentali. Le stazioni di questo asse sono: microbiota-intestino-nervo vago-cervello, e questo viene chiamato in inglese MGB (Microbiota-Gut-brain).
Ecco, abbiamo visto tre esempi di come il corpo influenza il cervello: attraverso la postura, l’attività fisica e l’attività intestinale.
Per rafforzare questi concetti, cito una frase di un monaco tibetano, che ha detto:
voi occidentali vedete i problemi emotivi alla rovescia. Siete sempre sorpresi nel constatare che quello che chiamate depressione, ansia o stress ha dei sintomi fisici. Parlate dell'affaticamento, della perdita o dell'aumento di peso e dell'irregolarità del battito cardiaco come se si trattasse delle manifestazioni fisiche di un problema mentale. Per noi, invece, vale il contrario: il pianto, la perdita di autostima, la sensazione di essere in errore e l'assenza di piacere sono le manifestazioni mentali di un problema fisico.
Concludendo:
Il fatto che il cervello emerga dal corpo è un’idea centrale.
I neuroni infatti esistono perché danno un vantaggio a tutti gli organismi pluricellulari complessi, perché assistono il corpo nella sua gestione dei processi vitali, migliorandone l’efficienza, e migliorando le probabilità di sopravvivenza.
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