
15 Gen Medicina moderna: cosa possiamo cambiare e perché?
Nella nostra medicina moderna e occidentale, abbiamo la necessità di astrarci dalla pratica clinica e costruire modelli teorici sempre più efficaci, che ci consentano poi di migliorare in modo radicale.
Inoltre, secondo me l’approccio medico moderno ha tre problemi:
1. Il riduzionismo
2. Il meccanicismo
3. Il fatto di non ascoltare e di non considerare la persona nella sua interezza
Queste sono alcune delle basi filosofiche di tutta la pratica medica moderna convenzionale. Vediamo queste criticità una per una.
1. Il riduzionismo
Ci sono due tipi di riduzionismo:
- Il riduzionismo ontologico: dice che tutto ciò che esiste è descrivibile in termini fisici.
L’ontologia è una delle mie branche preferite della filosofia e studia i principi dell’essere, della realtà e dell’esistenza.
- Il riduzionismo epistemologico: afferma che è possibile capire cosa avviene ad un livello gerarchico superiore scomponendo le sue parti e analizzandole minuziosamente. Crede che per acquisire conoscenza su un determinato fenomeno, o una specifica organizzazione, o su una struttura, sia necessaria scomporla ed esaminarla pezzetto dopo pezzetto. Questo, a livello biologico e medico, significa studiare tutti i sistemi, tutti i tessuti, tutte le strutture, con lo stesso approccio. Si analizzano le cellule, poi le molecole che ne fanno parte, e poi il loro scambio. Il riduzionista spera poi di creare modelli esatti di cosa accade sommando tutti i pezzetti di conoscenza tra loro.
L’epistemologia è la parte della filosofia che studia i modi e le condizioni per acquisire conoscenza scientifica. Quindi il riduzionismo epistemologico è la corrente di pensiero usata per acquisire conoscenza.
Se vogliamo meglio capire cosa fa e cosa pensa un riduzionista, possiamo affidarci a John Polkinghorne, che afferma:
Un riduzionista ritiene che un sistema complesso non sia nient’altro che la somma delle sue parti, per cui si può dar ragione del sistema riducendone la considerazione a quella dei singoli costituenti.
La stragrande maggioranza della ricerca moderna in biologia e medicina viene effettuata secondo questo schema:
si cerca di sequenziare il genoma, poi il gene, poi la proteina, poi la proteina di membrana, poi si cercano i siti attivi della proteina. Così sì fa in ambito fisiologico e patologico. Quindi lo stesso procedimento viene utilizzato quando si vogliono scoprire le cause di una malattia. Per questo sui giornali viene riportato (in modo spesso troppo trionfalistico e inesatto) “trovato il gene responsabile di questa patologia”. Poi, lo schema si applica anche alla ricerca della soluzione. Se una proteina è “erronea” si cerca prima di simulare al computer, poi di produrre molecole in grado di agganciarsi ai siti attivi, e solo in seguito si vede se questo provoca effetti da qualche altra parte. Questi vengono detti effetti collaterali.
Questo approccio ha molte utilità e punti a suo favore. Più la nostra conoscenza è approfondita, meglio è, e più sono le nostre probabilità di agire e di poter intervenire. Soprattutto per noi occidentali che abbiamo bisogno di valori, di misure, di numeri tangibili.
C’è però un problema. Noi siamo un sistema complesso. In un sistema complesso il tutto è maggiore della somma delle sue parti, per citare Aristotele che l’aveva già scritto nella Metafisica. Se posso aprire una parentesi, leggetelo. Aristotele ha inventato molti dei vocaboli che noi tuttora usiamo e che scrive per la prima nel libro. Questa frase arriva quasi all’improvviso e stupisce per la sua lungimiranza e modernità. Viene intatti motivata da Aristotele, che dice che questo assunto è valido quando il tutto non è un ammasso. Cioè quando il tutto è formato da un insieme di elementi in relazione tra loro, con una loro organizzazione interna e una loro dinamica.
In questo caso quel che manca alla somma di queste componenti è la loro organizzazione, sono i loro rapporti reciproci. Inoltre nel sistema complesso si verifica il fenomeno dell’emergenza. L’emergenza è un nuovo comportamento spontaneo del sistema, che non è prevedibile analizzando le condizioni iniziali (quindi i pezzetti molecolari e così via). Dà origine a nuove proprietà, nuove organizzazioni, nuovi fenomeni. Ad esempio, la febbre, i pensieri, il batticuore, sono fenomeni emergenti.
Qui cade il riduzionismo come visione unica della realtà o della sua indagine.
Per questo il riduzionismo va integrato con una visione e un’indagine sistemica, che si occupi di districare la rete di rapporti tra queste parti. Il riduzionismo opera un’osservazione verticale – dal grande al piccolo e viceversa. Va integrata un’osservazione trasversale, che metta in relazione i fenomeni tra loro. Solo così possiamo sperare di capire come funziona il nostro sistema. Inoltre solo così possiamo iniziare a usare la sua logica anche per curarlo.
Infatti è come se avessimo due tipi di livelli su cui possiamo agire: uno è formato da tutte le molecole, dai recettori, e così via; l’altro è formato dalla dinamica con cui funzionano insieme, dalla loro coordinazione. Secondo me se riusciamo a migliorare la loro organizzazione, possiamo poi ottenere maggiori risultati, più veloci e duraturi nel tempo.
Per questo l’analisi degli effetti collaterali farmacologici dovrebbe essere in realtà centrale, perché ci dice realmente qual è la rete di attivazione sistemica dopo l’assunzione di un farmaco. Parlo di rete perché nel sistema complesso i diversi funzionamenti sono collegati tra loro e formano una vera e propria rete, come fanno i server della rete internet e anche come facciamo tutti nei social networks (reti sociali, per l’appunto).
Nella medicina moderna purtroppo si ragiona ancora e si cura con una logica riduzionista. La complessità viene al massimo applicata a studi sociologici, finanziari o altri comportamenti collettivi, ma ancora troppo poco al singolo essere umano. Inoltre per noi è così tanta la complessità descrittiva di una singola proteina, o di una singola cellula, che gli istituti che si occupano di complessità solitamente sono ancora a questo livello. Pochi analizzano la “vera” complessità e la “vera” rete di fenomeni.
2. Il meccanicismo
Il meccanicismo è ancora un retaggio culturale, che è sopravvissuto per me in modo inspiegabile. E’ principalmente dovuto alle idee di Cartesio, e in generale di una parte della filosofia del ‘600. Cartesio ha diviso anima e corpo, e, pur riconoscendo la loro cooperazione in alcuni ambiti, ha precisato che il corpo invia segnali all’anima che sono rozzi, erronei. Esiste il cogito, la capacità di autocoscienza, più ordinata del corpo che invece funziona come macchina.
Quindi Cartesio divide la res extensa, cioè la parte fisica, tangibile, determinata e finita, dalla res cogitans. Nella res cogitans include intenzione, libertà e consapevolezza. Essa è contenuta nell’anima, che si comporta in modo esatto e non è materica. Il corpo invece è fonte di errore, di incertezza, e però noi siamo formati quasi esclusivamente da res extensa. Quindi il corpo funziona come un orologio, è formato da componenti meccaniche che si muovono con moti ben precisi e determinati. Anche il nostro movimento è esclusivamente dovuto a fattori meccanici.
Se una parte della macchina si rompe, c’è la malattia. A differenza di un orologio rotto, però, questa non può essere “riparata”, perché l’errore di natura peggiora la situazione.
I problemi che scaturiscono da questa visione sono molteplici, e in particolare:
- è evidente che vederci come un organismo meccanico, formato da strutture, ingranaggi che si muovono, non corrisponde alla verità. Tutte le evidenze disponibili finora dimostrano che in realtà funzioniamo attraverso flussi dinamici e continui di molecole, di informazioni, di stimoli. Funzioniamo attraverso circuiti di feedback, e appunto attraverso reti di organizzazione. Le strutture sono solo il substrato delle funzioni che vengono operate. Il meccanicismo funziona bene quando c’è un osso rotto, una ferita, una massa che occlude una cavità e che quindi è da asportare. In tutti questi casi va effettuata una riparazione della struttura che si è effettivamente danneggiata. Ma negli altri casi, cioè nella grande maggioranza delle patologie che curiamo con i farmaci, il problema all’inizio è dinamico, cioè è un problema nell’ottimizzazione delle funzioni. Poi può diventare strutturale.
- Il determinismo. Sia Cartesio, sia il meccanicismo moderno che deriva dalle idee di Laplace, sfociano nel determinismo. Il determinismo dice che, noti i parametri iniziali, si può calcolare l’evoluzione di un sistema. Alcuni sistemi sono effettivamente deterministici. Ad esempio possiamo calcolare il moto delle palle da biliardo, la traiettoria di un proiettile o di un pallone, la frenata di una macchina. Il nostro sistema però non lo è, e per due motivi. Il primo è che le variabili in gioco sono così tante e sono così mutevoli che è impossibile conoscerle tutte con precisione. Quindi già ci manca la premessa, cioè la conoscenza dei dati iniziali. Il secondo è che il nostro sistema ha un comportamento caotico. Cioè, anche se conoscessimo tutti i parametri iniziali, le loro relazioni e la loro dinamica sono così complesse, vengono esibiti così tanti comportamenti emergenti, che è impossibile calcolare l’evoluzione del sistema. Possiamo farlo in modo solo parziale e inesatto.
- Il dualismo. Il problema logico che emerge dal discorso di Cartesio è come possano convivere e “dialogare” queste due sostanze differenti, cioè la res extensa e la res cogitans. E quindi com’è possibile che il corpo funzioni in modo così diverso da quella che lui chiama anima e che noi potremmo chiamare cognizione. Qui sfociamo nella discussione sulla natura della mente e della coscienza, ed è opportuno evitare di dilungarci in questo articolo perché sono discorsi che meritano almeno un articolo, o meglio ancora un libro a parte!
Ma il problema principale, quello più importante di tutti, è che non possiamo considerare la malattia come il risultato di un orologio rotto.
Non possiamo aver la presunzione che la Vita, attraverso l’evoluzione e tutti i suoi meccanismi, si rompa così stupidamente. Non possiamo pensare che noi possiamo superare la natura, che il nostro agire è migliore di lei. Infatti sono profondamente convinta che, come dice Bacone, che pure voleva dominare la natura,
La natura può essere vinta solo ubbidendole.
Quindi il nostro scopo primario dovrebbe essere capire la logica del vivente, e poi, nel caso di malattia, di curare seguendo la stessa logica. Questo segnerebbe un cambiamento epocale, una vera e propria rivoluzione. Attualmente la nostra cura consiste nello stoppare cascate molecolari “erronee”. Dovremmo invece prima di tutto capire perché all’organismo servono quelle cascate di eventi. Poi dovremmo stimolare l’organismo in modo che “corregga il tiro”, che si aggiusti da solo. Dovremmo solo stimolarlo secondo le sue regole, non imponendogli noi regole estranee dall’esterno. E’ ovvio che se usiamo una logica diversa dalla sua, l’organismo andrà avanti per la sua strada, combattendo lo stimolo che gli diamo noi. Solo così potremo parlare di medicina moderna.
3. Il fatto di non ascoltare e di non considerare la persona nella sua interezza
A quale medico non è mai capitato? E a quale persona non è mai capitato di uscire dall’ambulatorio frustrata perché non si è sentita capita, ascoltata, accompagnata?
Ecco, questo deriva dalla frammentazione, dall’iper-specializzazione, dal poco tempo a disposizione che si ha nella medicina convenzionale. Siamo convinti che la persona che ha un problema all’intestino, al polmone, alla pelle, richieda la pillola giusta per aggiustare quello specifico ingranaggio dell’orologio rotto. E allora la stessa persona va prima dal gastroenterologo, poi dallo pneumologo, poi dal dermatologo. Tutti si focalizzano sul problema specifico, e non si interrogano sulle relazioni tra questi problemi. Non si chiedono se può esserci una causa comune. E non parlo solo di problemi psicologici. Parlo sempre dell’osservazione trasversale che manca. Non abbiamo la cultura della ricerca del fil-rouge sotteso ai vari fenomeni osservabili.
Eppure questo migliorerebbe la nostra pratica, la nostra medicina moderna occidentale di moltissimo. Vi svelo un segreto, e faccio un esempio: alcuni problemi che coinvolgono sia l’intestino, che i polmoni, che la pelle, possono derivare da una nutrizione errata. Quanto sarebbe più facile, più efficace, più giusto, dare all’organismo il carburante giusto per lui? Poi ci penserebbe lui, in totale autonomia, a tornare pienamente efficiente.
Inoltre, gli aspetti psicologici, affettivi e motivazionali della persona non vengono praticamente mai presi in considerazione.
Eppure sarebbe fondamentale. Innanzitutto perché molte malattie si correlano (attenzione, ho detto si correlano, non sono causate) a problemi psicologici o cognitivi. E poi perché il fatto che la persona sia protagonista e pienamente responsabile del suo processo di cura è fondamentale. E’ più che fondamentale, è essenziale. Solo se la persona è pienamente consapevole, è emotivamente pronta, è motivata e propositiva, si puà curare. E questo è vero quanto più una malattia è grave o compromettente. Questo fattore dovrebbe essere il principale, sia nell’acquisizione dei sintomi che nella cura. E invece nel migliore dei casi lo ignoriamo. Nel peggiore dei casi invece additiamo cause psicologiche a problemi che non riusciamo a spiegarci. E questa tendenza è molto pronunciata in Italia.
Spero che questo venga capito, interiorizzato e utilizzato. Spero che la persona venga posta al centro della sua salute, venga informata correttamente, responsabilizzata, e aiutata nella sua interezza.
Ecco, solo a partire da queste tre premesse filosofiche potremmo già attuare una rivoluzione nella ricerca medica e nella pratica clinica. Potremmo così migliorare la medicina moderna convenzionale. Spero che questo sia solo l’inizio! Che ne pensi in merito?
Se vuoi saperne di più, trovi gli approfondimenti sul libro Medicina Coerente – Modelli sistemici per una medicina più efficace, umana, individualizzata. Scopri di che si tratta.
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